HAUBI-TANZANIA, IN TRENTAMILA CHE LOTTANO PER UNA VITA DECENTE

Sui colli di Haubi, “luogo delle acque”, le nuvole si fermano e, quand'è stagione, rovesciano in un batter d'occhio sulla vallata sottostante catinelle ininterrotte. Ovunque in Africa l'acqua è vita; qui, in Tanzania, a volte è un problema.
Intorno al lago, i terreni più fertili sono inutilizzabili. Nelle molte pozze proliferano larve d'anofele e la malaria si diffonde. In terra si abbeverano i bambini perché l'acqua le scuole non ce l'hanno. Per raggiungere quella buona bisogna andare al pozzo. Ce ne sono quattro in tutta la vallata. Quattro pozzi per trentamila persone. Per costruirne un altro servono due milioni di scellini (1500 euro), cioè cinque anni di stipendio di un insegnante che fra gli adulti presenti nella valle indubbiamente rappresenta la categoria benestante. Questo perché il suo lavoro è pagato in denaro. Con i soldi si può scegliere cosa mangiare e soprattutto far fronte alle emergenze. Un contadino che si sfama con il campo – il mais e i fagioli che ci crescono, la frutta degli arbusti che lo costeggiano -, è invece sempre disperato quando gli chiedono di pagare. Quel che produce lo mangia quasi per intero la sua famiglia. Soldi non ne ha per acquistare sapone da bucato ed i suoi figli sono coperti di tigna, ne tanto meno ne ha per darli all'unico proprietario di macchina nella valle, il parroco, per farsi accompagnare all'Ospedale, lontano trenta chilometri, due monti e due guadi.
Consentitemi un cenno di vita vissuta: la notte tra il 25 ed il 26 gennaio scorsi, un amico fraterno era a terra accanto a me, colpito da febbri celebrali. Sragionava, citava mail scritte un anno prima punteggiatura compresa, mentre crampi e spasmi lo scuotevano. Forse oggi è vivo perché avevamo i soldi per farlo trasportare al nosocomio. In quell'ospedale, strano ma vero, le corsie non erano affollate, non c'era carnaio maleodorante. Bello? … No, niente affatto. Sono pochi a ricoverarsi, perché pochi se lo possono permettere. Per il nostro malato paghiamo cash allo spaccio interno la medicina, la glucosata, gli aghi a farfalla e il tubo di gomma per la flebo. Passata la crisi, dodici ore dopo gli portiamo da mangiare perché non c'è mensa e poi altre medicine. Dopo 24 ore abbiamo già sborsato settantamila scellini, 50 euro o se preferite due mesi di stipendio d'insegnante.
E non c'è esosità in tutto questo, solo realtà. Siamo in una struttura pubblica di uno Stato che fino a qualche anno fa era socialista ed oggi mantiene molte sensibilità per la mutualità. Ma non ha miniere pregiate, non ha industrie, gas naturali o giacimenti di oli combustibili. Qualche anno fa l'Italia gli ha condonato i debiti, ciò nonostante da metà gennaio a metà febbraio la svalutazione è tale da comportarmi un “guadagno” di 200 scellini ad euro cambiato. Al ritorno nella valle montana per ogni cosa abbiamo occhi diversi e il paradiso di verdi sgargianti non ci distrae più dai molti dolori sopportati dalla gente. Intanto guardiamo meglio i visi: donne, vecchi e bambini. Tanti bambini; di essi almeno uno su sei è classificato orfano, cioè senza genitori o da essi abbandonato. Chi è giovane e forte cerca lavoro nelle città, ma non sempre ha fortuna; chi può iscriversi alla scuola secondaria non resta ad Haubi dove l'istituto creato dalla cittadinanza non ha elettricità, non ha acqua, non ha latrine ed è troppo vicino alle paludi del lago. Solo 27 degli ottanta iscritti del primissimo anno conclusero gli studi; ora le cose vanno meglio, in fondo ci arriva la metà ma sono in tanti quelli che cambiano e lasciano la valle. Haubi , Tanzania, distretto di Kondoa, provincia di Dodoma. Per metà cristiani, per l'altra mussulmani, gli abitanti vivono in pace e spesso sono tra loro parenti giacché il 95% della popolazione è di etnia waranghi. Non ci sono guerre, né conflitti tribali… E questo comporta l'assenza di megafoni orientati sulla società occidentale. Nessuna Ong della cooperazione internazionale, né grande né piccola, sta facendo qualcosa per Haubi. Fa eccezione un piccolo gruppo con grandi obiettivi. Un centinaio di giovani che arrivano che arrivano da Siena e Firenze che da tre anni “devolvono” le vacanze per alternarsi a seguire piccoli progetti di sviluppo. Sono loro gli “alleati” di Haubi. E c'è tanto bisogno di rinforzi, perché non vedo chi possa sostenere che ogni giorno in quella valle tutta la popolazione non sia impegnata a combattere un'interminabile battaglia per la propria vita.

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


UN AMBASCIATORE DELL'ISTRICE

Incontro con Marcello Griccioli nella sua casa di Dar Es Salaam

“Per favore chiamatemi Marcello”. La richiesta è semplice e diretta, ma dargli seguito può non essere facile perché se si supera il fatto di avere di fronte l'ambasciatore d'Italia in Tanzania, Marcello Griccioli, difficilmente si pone rimedio al fatto che ogni cosa che dice Sua Eccellenza la dice da oltre quota due metri. Quando ci riceve a casa Italia a Dar Es Salaam, splendido edificio dai tratti moreschi nel cui giardino c'è un immenso albero sotto le quali fronde anche … Buddah amava riposare, la bella accoglienza della signora Emanuela e una bandiera dell'istrice, apportatrice di senesità, fanno aumentare la confidenza.
La Tanzania, innanzitutto… “Di essa amo tutto; c'è un mare stupendo, parchi stupendi, gente stupenda. È un paese dove ci vuole molta pazienza. Ci sono poche cose e tutto si rompe. Ma con un po' di pazienza, si riesce a lavorare ed a fare iniziative concrete”. Gli italiani qui in Tanzania? “Non sono invero molti. Abbiamo seicento residenti che per più della metà sono missionari. Sono persone, quest'ultimi che hanno lasciato il segno e che tuttora sono molto attivi e bene accolti”.
La sicurezza di chi visita la Tanzania? “Non ci sono grossi problemi, esistono località che sconsigliamo ma sono poche. Si tratta di essere cauti ed attenti; ed evitare magari di viaggiare di notte. Credo che i maggiori pericoli arrivino proprio dagli incidenti: le macchine spesso non sono in ordine. Ce ne sono di continuo”.
E per le opere di cooperazione? “Serve che i programmi siano concordati con le autorità locali e centrali e serve che i visti siano in ordine. Va fatta attenzione. Per il resto ci sono anche molte iniziative di cooperazione. Ce ne sono state tante anche di persone senesi: i cappuccini a Mlali, il pittore Olmastroni, l'Università che ha scavato pozzi a Dodoma”.
Quindi un ambasciatore che è soddisfatto dei suoi concittadini? ”In verità, ritenevo che la presenza di un ambasciatore senese stimolasse un po' di più gli enti della città. Siamo in un Paese che ha una tradizione culturale socialista e che indubbiamente ha bisogno di aiuti internazionali. Avendo a Siena un'università ed un ospedale di rilevanza nazionale il settore medico sarebbe quello più indicato. E ci sarebbero ospedali che potrebbero ospitare sanitari dall'estero, così come ci sono comunità che beneficerebbero grandemente di un coordinamento per i piccoli aiuti di solidarietà internazionale”. Come quelli del Gruppo Rafiki? “ Come ambasciatore italiano in Tanzania e come senese, non posso che congratularmi vivamente: il gruppo ha realizzato delle opere di assistenza in un settore molto importante come quello dell'educazione delle scuole. Li incoraggio, se ne hanno bisogno, a fare qualcosa di più, ad unirsi, ad unire i loro sforzi forse con altri enti, forse il Comune di Siena può essere interessato a sponsorizzare qualcuna delle loro opere… Da parte mia, darò il mio appoggio, perché è un gruppo molto attivo e lo merita”.


I “RAFIKI” DI SIENA

Dar fiducia è la “merce” esportata

Si fatica non male ad Haubi se si vuole fare il giro delle scuole. Sono 7- 8 chilometri a piedi per arrivare a Soro e, la prima volta, l'erta finale toglie il fiato. Appena in cima c'è una sorpresa. Sulla facciata della scuola campeggiano, dipinte due bandiere, quella nazionale della Tanzania e quella italiana con su scritto “Gruppo Rafiki – Italia”. Altro che una grande circostanza, qui c'è di più: per noi significa che l'Italia ha acquisito un senso concreto nella vita di 700 bambini, i loro insegnanti, le famiglie. La nostra patria, una loro speranza. E lo si deve al Gruppo Rafiki, un gruppo di amici. Sono un centinaio di giovani che a gruppi vengono in questa valle da tre anni. Hanno bivaccato coi capi, lavorato nei campi e deciso di impegnarsi per questo villaggio fatto di campetti e case in ininterrotta successione. La comunità ha chiesto loro aiuto per istruire i bambini: “l'educazione è tutto, consente di fare scelte”. Il gruppo ha ristrutturato già due scuole e quest'anno darà il via alla terza. Poi ci sono opere più piccole che riguardano gli aiuti a orfani e disabili perché possano istruirsi come gli altri.
Un'altra scuola, vicino al lago, e addirittura un “comitato” che ci viene incontro con fiori, tamburi e fischietti. Sono i primi che accolsero i wazungu, i bianchi, mentre gli altri sorridevano e dicevano “Ballate, ballate, poi…”. Oggi sono la prima scuola del distretto: il 97,8 ha superato i test governativi. Una terza scuola – accanto all'appariscente missione cattolica -, accoglie la visita con marce e canti. Il dono di una cassetta per il primo soccorso della Pubblica Assistenza senese provoca un boato di gioia; e fiducia… ogni italiano che arriva per loro è di certo del Gruppo Rafiki. Fiducia, si, questo è il bene che si esporta con maggior successo dall'Italia: per trentamila persone che il proprio Stato non ha ritenute meritevoli neanche di avere la palificazione elettrica, sapere di avere amici che ti possono aiutare a crescere è importante. Anche se non hanno abbastanza per fare le opere che davvero servirebbero: una strada, l'ospedale, veri corsi di formazione professionale preceduti da studi per comprendere quale sviluppo ecosostenibile potrebbe esser percorso.
I Rafiki italiani si sono formati nel 2001, ma solo nel 2003, hanno messo mano alla prima opera. Con quest'anno hanno deciso di trasformarsi in Onlus per dare continuità alla loro opera e poter dialogare ed essere sostenuti da enti ed altre associazioni. Tra loro Nancy Mwinjo è l'eccezione: completerà presto i suoi studi di medicina a Siena ed è originaria di Haubi. Per il villaggio riesce ogni anno a radunare intorno al suo sogno l'entusiasmo di tanti giovani coetanei d'università. Già è alla ricerca in questi giorni di chi ad agosto 2005 vorrà entrare nel Gruppo e partecipare ai lavori nella scuola di Kidulo; i requisiti minimi sono: un mese libero e autofinanziamento del biglietto aereo (oltre le spese di vitto e alloggio, ma sono quasi irrisorie), disponibilità a vivere per settimane in un posto dove non c'è luce e acqua corrente, non c'è nulla da comperare e in compenso ci sono frotte di zanzare, voglia sincera di imparare dagli umili perché è questo che va fatto prima di ritenere di poter davvero aiutare. Tutto il resto potrà essere chiesto direttamente al Gruppo che ha un sito in allestimento: www.grupporafiki.org e una mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. .

Duccio Rugani