È mezzogiorno e mezzo, oggi si sta bene, c’è il sole e un vento fresco, sento poco lontano voci di bambini. Alzo la testa, sta arrivando una bambina con un piccolino sulle spalle e un altro le cammina dietro. "Mambo?" ("Come stai?"), la saluto e lei risponde timidamente "Poa" ("Bene"), ma ha un’aria curiosa. Mi guardano, il bimbo si ferma e dà un’occhiata al mio quadernino mentre tiene in testa un grande sacco pieno di non so cosa, e subito se ne vanno piano al richiamo della sorella, scomparendo nel campo di girasoli secchi.

Stamani abbiamo sistemato le scatole nel cortile interno della casa, dove la famiglia di Mzee Matei sta essiccando i semi per il pombe, un liquore che si beve qui. Stasera Baba si metterà sul divano di casa e ci racconterà un’altra delle sue storie. Inutile provare a descrivere la luce che emanano i suoi occhietti incavati mentre si perde nel piacere di raccontare, nel lasciarsi trasportare dai pensieri per insegnare a noi nipoti d’oltremare, che ascoltiamo attenti e interessati, seppure non si capisca una parola.

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Ieri ci esortava a continuare gli studi, Roberto traduceva le sue parole: "Lo studio è la chiave del mondo" (promesso Baba!). Ha mozzato il mio nome - "troppo difficile!" - allora ha deciso di chiamarmi Ndira: ride, socchiude la mano in un pugno e se la mette davanti all’occhio. Intuisco che il mio nuovo soprannome debba essere qualcosa che serva per la misurazione.

 

Deianira Mweri